Dopo un volo diretto da Milano Malpensa, nel pomeriggio di ieri siamo atterrati all’aeroporto di Istanbul… Costantinopoli! Luogo carico di storia che abbiamo respirato in serata camminando tra le viuzze, i bazar a cielo aperto e le moschee. La città vecchia conquista con il suo fascino, i profumi ed i colori; il centro della città è così bello da essere stato iscritto a patrimonio dell’Unesco.
Non ci resta altro tempo, questa mattina subito in dogana per il ritiro delle protagoniste del nostro viaggio: le nostre rombanti Royal Enfield! Il disbrigo delle pratiche burocratiche è sempre lungo e complesso (oltre che un po’ noioso!), ma ne è valsa la pena: finalmente accendiamo i motori e partiamo per affrontare la prima tappa di ben 410 km che ci condurrà da Istanbul alla città di Safranbolu.
Attraversare il Bosforo, ponte tra Europa ed Asia, è un’emozione oltre che un’esperienza incantevole, che consente di lanciare un ultimo sguardo ad Istambul dal golfo, ammirando ancora lungo la costa la Moschea Blu, la Basilica di Santa Sofia, il Palazzo Topkapi e le Mura dell’antica Costantinopoli.
Davanti a noi tanta strada e poi finalmente Safranbolu: una cittadina ottomana, intatta e tutelata, che mi hanno raccontato essere di grande fascino, e che sicuramente saprà farci assaporare l’essenza di questo Paese attraverso lo splendore di edifici di un tempo passato. Domani vi racconterò…
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Safranbolu non solo ha confermato, ma ha decisamente superato le aspettative! Siamo a 200 chilometri a nord di Ankara e 11 a sud del Mar Nero, in un sito Unesco che presenta una perfetta conservazione delle case e delle architetture dell’Impero Ottomano. L’antico borgo di Safranbolu è una visione di tetti rossi, case a graticcio in legno e pietra, vie acciottolate: tutto intatto ma allo stesso tempo pare di vivere un flash back di mille anni. Grande fascino e suggestione! Non ci sono turisti, non c’è calca, si gira con tranquillità, accolti con grande cordialità, simpatia ed entusiasmo dalla popolazione locale.
Ci sono mercati, le mura del caravanserraglio proprio al centro del vecchio nucleo urbano, ed un profondo e stretto canyon scavato da un ruscello, lungo il quale si snodano quartieri più tranquilli e botteghe di fabbri, tutte in piena attività. Qui incontriamo Katzul, titolare della bottega più antica e uno dei fabbri più conosciuti in città. É subito pronto e disponibile ad una foto con noi!
Un’altra cosa che ci conquista sono i colori. E non potrebbe che essere così nella città che porta il nome dello zafferano: Safranbolu, infatti, fu un centro importante per la coltivazione ed il commercio dello zafferano, e ne mantiene sfumature e profumi in ogni angolo.
Oggi raggiungeremo la costa del Mar Nero, fino ad arrivare a Sinop. Ci aspettano 295km da percorrere nell’Anatolia centrale. Ci addentriamo nella Turchia più vera, che Safranbolu ha già saputo suggerire.
Fino ad ora, il sistema stradale ci ha stupiti favorevolmente: è un mix intrigante di strade completamente rinnovate, in perfetto stato, e percorsi più avventurosi. Le nostre Royal Enfield sono fantastiche e rispondono benissimo alle sollecitazioni anche su percorsi misti e tratti sconnessi. Agli amici motociclisti, che in tanti stanno seguendo il nostro viaggio, posso confermare che la Bullet Classic è una vera “macina chilometri” e ci consente di tenere una media costante di 80km/h, con punte a 100, mantenendo un ottimo confort, al riparo dalle temute vibrazioni!
In sella, allora…a domani!
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Siamo nel punto più settentrionale dell’Anatolia, a Sinop, un porto naturale, ben riparato e sempre accessibile, con un passato commerciale importante: fu capitale del Ponto e nodo molto fiorente sotto la dominazione romana e bizantina. In tempi un po’ più vicini, 1853, fu teatro della battaglia che diede origine alla Guerra di Crimea, combattuta tra l’impero russo e la Francia, appoggiata da Impero Ottomano, Regno Unito e Regno di Sardegna, per una disputa sul controllo dei luoghi santi della cristianità in territorio ottomano.
Si respira un’aria cosmopolita, grazie forse alle tante e fiorenti attività, e anche ad un turismo che si percepisce in crescita per via delle ricche necropoli e del tempio scoperto da scavi recenti. Nessuna moto però! E questo stupisce…e allo stesso tempo ci fa comprendere la curiosità e l’entusiasmo con cui vengono accolte all’arrivo le nostre fide Royal Enfield! Che ieri, prima di arrivare qui, ci hanno portati ad Amasra, arrivando dall’alto delle colline: una strada panoramica perfetta per la dolcezza di guida della moto, che ci ha regalato una vista incantevole. A cavallo tra una penisola con due baie e un’isola rocciosa a cui si accede attraverso un ponte romano, si dice che sia il porto più grazioso del Mar Nero. E in effetti Amasra ha l’aspetto di una tranquilla località di villeggiatura che ricorda i fasti risalenti al VI secolo come colonia greca, cantati da Omero, grazie alle sue mura imponenti a alla cittadella che conserva ancora edifici originali.
Ci siamo rilassati al porto, assistendo a scene di vita quotidiana dei pescatori che, nei loro tempi sospesi, ci hanno trasmesso una grande serenità, e ci hanno anche permesso di rifocillarci con ottimo pescato fresco! Dopo tanto sole, polvere e strada… non disdegniamo affatto!
Oggi ci attendono 480 km, ancora lungo la costa del Mar Nero, per raggiungere una delle città storiche più note della Turchia, Trebisonda, ai confini con l’Armenia, che costeggeremo poi domani.
Lì sono certo che saremo pervasi da stimoli e ricordi impossibili da reprimere, attraversando un territorio che ha conosciuto forti tensioni e respirato anche molto dolore. Cercherò di trasferirvi tutta l’emozione che sicuramente affiorerà… a domani!
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Ci siamo lasciati sabato a Sinop… e da allora sono successe davvero tante cose: un cumulo di emozioni!
Più di mille chilometri percorsi tra sabato e domenica e negli occhi un susseguirsi di meraviglie, una gran varietà di paesaggi: dalla costa vergine e mozzafiato, che abbiamo ammirato verso Sinop, fatta di montagne con una ricca vegetazione che arrivano al mare, con spiagge bianchissime, accecanti, alle coste meno selvagge lungo il Mar Nero, fatte di alture più dolci ma più brulle, digradanti verso un mare verde brillante che abbiamo percorso andando verso il confine con l’Armenia, per raggiungere Trebisonda.
Ma non andiamo di fretta: sono tanti i momenti che vorrei fissare nei ricordi. Partiamo da Sinop, che ci ha accolti con il suo porto tranquillo e il castello a difesa con una enorme bandiera turca che pareva quasi salutare il nostro arrivo ed incoraggiare il cammino; un assaggio delle gustosissime acciughe fritte (assolutamente differenti dalle nostre nell’aspetto e nel sapore!), mangiate rigorosomente con le mani secondo l’usanza locale, cosa che ci ha consentito di scoprire una curiosità di queste parti: i bagni all’aperto dei ristoranti, dove sciacquarsi per l’appunto le mani!
E poi, via alla volta di Trebisonda, con… sosta forzata all’altezza di Samsun! Eccolo il primo inconveniente del nostro viaggio motorizzato: gomma forata, probabilmente in qualche pezzo di sterrato. Abbiamo cercato di ovviare con una camera d’aria di scorta che avevamo opportunamente al seguito, ma abbiamo bisogno di aiuto per continuare in tranquillità. Qui non ci sono gommisti, ma incontriamo un meccanico che ci offre non solo aiuto, ma anche tanta gentilezza e disponibilità. Un contrattempo si trasforma così in un simpatico e apprezzatissimo break!
Si riparte; i chilometri che ci separano dalla mèta del giorno sono ancora tanti e la stanchezza si fa un po’ sentire... Ci facciamo cullare dalla strada, che ci offre un continuo susseguirsi di colori. Il tutto è quasi ipnotico, ma riusciamo a non “perdere la trebisonda” e arrivare a destinazione! Abbiamo scoperto che l’origine del detto deriva dal fatto che Trebisonda, il porto più trafficato del Mar Nero, d’inverno è molto spesso immersa nella nebbia, al punto da risultare invisibile! Noi invece arriviamo con un bel sole e una luce ideale. Troviamo una città molto ben tenuta, quasi sofisticata nell’aspetto, con un lato moderno nella sfolgorante piazza centrale che contrasta con l’imponente Chiesa medievale di Aya Sofya, trasformata in moschea.
Il tempo di riposare un po’ e godere di questa bell’aria di mare, per ripartire domenica a spron battuto: ci aspettano 545 chilometri lungo il confine armeno, di avvicinamento al confine iraniano, per pernottare l’ultima notte in Turchia, a Dogubayazit, prima della frontiera.
Il primo tratto... pare di essere in Svizzera! Saliamo su un altopiano, con tantissimi abeti, e poi un susseguirsi di passi di montagna, di altezza variabile – 2mila, 3mila e poi mille metri – in un “sali scendi” fatto di monti, valli e canyon: una natura spettacolare! Poi, la steppa dell’Anatolia, con le sue affascinanti montagne color sabbia. Una grande emozione, e il primo vero assaggio del nostro “sentiero tra le nuvole”, passando sotto l’Ararat: il gigante di 5metri che nel 2007 ho scalato con un gruppo di amici e che non potrò mai scordare! In fondo quest’avventura è un po’ figlia di quei ricordi…!
Corriamo verso il confine armeno, arrivando fino ad Agri, a soli 5 km dalla frontiera: la zona è molto militarizzata, ed è la prima volta dalla partenza che incontriamo così tanti controlli. Ce lo aspettavamo: non respiriamo un clima disteso, seppur ci sentiamo in assoluta tranquillità, ma d’altronde i tanti, troppi avvenimenti che hanno fatto la storia un segno lo lasciano eccome!
E in quest’ultimo tratto, verso Dogubayazit, che è a 30km dal confine iraniano, la mia moto sceglie di giocarmi alcuni simpatici scherzetti: batteria fuori uso e problemi anche alla catena, per la perdita delle viti che fissano il carter…trope troppe sollcitazioni su tratti anche sconnessi e la mia fida Royal Enfield protesta! É domenica ed è tutto chiuso, ma anche qui troviamo un meccanico pronto addirittura ad aprire la sua officina per venire incontro alle nostre esigenze. Non risolviamo, perchè mancano i pezzi di ricambio, ma tanta disponibilità non sempre è facile da riscontrare all’interno dei nostri stessi confini nazionali!!
Domani prima di partire ed entrare in Iran, dovremo risolvere questo intoppo… vi farò sapere!
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Oggi ci attende la frontiera dell’Iran: un po’ un passaggio tra due mondi. Alcuni ci hanno sussurrato: "il passaggio dal noto all’ignoto"… un po’ di brivido, che ci serve da sprone per affrontare altri 311 km fino alla frontiera compresa tra la cittadina di Gurbulak in Turchia e Bazargan in Iran.
Dopo un check alle moto e aver sistemato i miei guai dei giorni scorsi, sempre grazie alla grande disponibilità dei locali, ci lasciamo alle spalle la città di Dogubayazit, in prevalenza curda. Da una parte, si staglia maestoso all’orizzonte il fenomenale Monte Ararat, che per me è sempre fonte di grande emozione e ricordi indelebili della scalata di nove anni fa, dall’altra, da un poggio roccioso che domina la città, il complesso di Ishak Pasa, di straordinaria bellezza, che comprende una fortezza, una moschea e un palazzo. Immancabilmente, ci propongono di accompagnarci niente meno che all’Arca di Noè, attraversando le colline proprio dietro al Palazzo per raggiungere una piccola altura allungata di forma ovale dove l’Arca si sarebbe arenata dopo il diluvio. Rimandiamo l’incontro biblico, ringraziando per la proposta J e partiamo alla volta di Gurbulak. Le strade sono completamente deserte. Poi all’improvviso…una coda interminabile di camion ci avvisa che siamo prossimi alla frontiera: ci raccontano che si arriva anche a tre giorni di attesa prima di riuscire ad entrare. D’altronde, è l’unica via accessibile per l’ingresso di merci nel Paese. A noi va un po’ meglio: in “sole” 4 ore di disbrigo di documenti otteniamo il lasciapassare, registrando le nostre moto sul carnet de passage come mezzi in transito. Attiriamo molto l’attenzione: pare siano 12 mesi che qui di moto non se ne vedono, men che meno turisti! Facciamo notizia e... le nostre Royal Enfield fanno gola!
L’ingresso vero e proprio nel Paese ha il sapore di un film: un cancello gigantesco si apre davanti a noi e si richiude pesantemente alle nostre spalle. Ci voltiamo un po’ attoniti…la prima sensazione è da girone dantesco, ma abbozziamo. Grande effetto, non lo scorderemo.
Davanti a noi ancora 190 km fino a Tabriz. Cerchiamo di respirare e assimilare tutto ciò che vediamo. Una differenza enorme rispetto a ciò che la Turchia ci ha lasciato negli occhi: lì abbiamo visto un paese rivolto alla modernità pur nel grande rispetto delle proprie tradizioni; qui ci rendiamo subito conto di quale segno abbiano lasciato 20 anni di embargo. Un salto all’indietro di un buon mezzo secolo, compensato da panorami mozzafiato nella loro purezza incontaminata.
Poi, avvicinandoci a Tabriz, ecco movimento e colore. É la più grande città dell'Iran nord-occidentale, capoluogo della regione dell'Azarbaijan, con una popolazione di quasi un milione e mezzo di abitanti. Facciamo rifornimento e... rimaniamo allibiti. 30 centesimo di euro al litro… la capitale mondiale del petrolio regala… ma la cosa incredibile è che c’è pochissima benzina! Code infinite per approvvigionarsi, e viene centellinata! Sfumature dell’embargo…
Ci mischiamo tra la gente; c’è un gran bazar, uno dei più estesi e antichi dell'area mediorientale, citato addirittura da Marco Polo nel suo Il Milione. Parlava di mercantia e d'arti, di drappi a seta e a oro. E in effetti vediamo tante merci e tappeti di incommensurabile bellezza, tessuti a mano in migliaia e migliaia di nodi. Non fotografiamo, osserviamo con rispetto… non percepiamo integralismo; pochissimi burka, qualche chador – qui lo chiamano hijab – e moltissimi foulard a coprire del tutto o parzialmente i capelli. Ci è parso si chiami magnaeh... ma comprendere suoni e parole è davvero difficile. Ci fanno notare che ogni provincia ha un proprio dialetto, che è una vera e propria lingua a sé. Ci concediamo un po’ di riposo, approfittando di gusti e sapori che invitano all’assaggio…
Domani sarà una lunga cavalcata verso Teheran, che ci dovrà trovare in gran forma!
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Dopo una notte di profondo riposo, ci siamo alzati alle prime ore dell’alba, completamente rigenerati e pronti per affrontare la lunga tappa di avvicinamento a Teheran. É mattina presto, per qualche minuto ci soffermiamo ad ascoltare una città che si sta svegliando in un’atmosfera magica dove i tenui colori del primo mattino sembrano dipingere le litanie delle preghiere provenienti dalla Moschea Blu (kabud). Si tratta di un luogo di culto realizzato nel 1465, uno degli edifici più belli della sua epoca. Una volta terminata la sua costruzione ci vollero 25 anni perché gli artisti ricoprissero la superficie con le intricate calligrafie e le piastrelle di maiolica blu da cui prende il nome.
Ora però ci aspettano 634 km, meglio accendere i motori delle Royal Enfield! Ci affidiamo alla nostra cartina (niente mappe digitali, i collegamenti qui sono poco affidabili!) per iniziare il nostro viaggio sull’altopiano cosparso di coni vulcanici ormai spenti il più alto dei quali è il Sahand la cui cima raggiunge i 3707m. Lunga e diritta corre la strada... in un continuo susseguirsi di passi e di cambi d’altitudine; dai 1500 mt fino ai 2500mt siamo sottoposti a continue escursioni termiche, passando dai pochi gradi del primo mattino, fino ai 30 del pomeriggio. Per fortuna non sentiamo alcun disagio, perché il nostro abbigliamento Dainese è davvero straordinario adattandosi a qualsiasi clima e temperatura!
Le strade molto dissestate ci costringono a una media di 50km/h e, alle 16 ora locale, abbiamo percorso circa 400 km; ci stiamo avvicinando alla città di Qazvin che è il capoluogo dell'omonima regione nell’Iran nord-occidentale. Lungo il percorso momenti di vita quotidiana; incontriamo camion di meloni dalle dimensioni e dal peso eccezionali; scopriamo che il miele non viene venduto nei barattoli, ma solido e a pezzetti; venditori ambulanti, bancarelle, negozi e persino bagni pubblici per... plin plin on the road!
É l’imbrunire, scorgiamo in lontananza la Torre della Libertà, simbolo del dell’unità nazionale, stiamo raggiungendo la meta!
Realizzata dall’architetto Hossein Amanat. A 24 anni vinse il bando per disegnare la porta d'ingresso nella capitale voluta dalla Scià per celebrare i 2.500 anni dalla fondazione della Persia. In occasione dei festeggiamenti del 1971,la Shahyad Tower di Amanat, dall'alto dei suoi 148 piedi, era una delle principali attrazioni dell'evento. Meno di otto anni dopo, con la rivoluzione islamica, divenne la Azadi Tower, la Torre della Libertà appunto.
Entrati in città, ci fermiamo vicino a un bar per dissetarci dopo tanti chilometri di sole e polvere ed estraggo dalla tasca una banconota di piccolo taglio: 500.000 rial, che corrispondono a circa 12€, una situazione inverosimile!!!
Domani faremo i turisti a Teheran e vi racconteremo il nostro girovagare nelle strade della capitale! Stay tuned!
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Inizia di buon mattino la nostra giornata da turisti in compagnia di una guida locale.
Se chiudete gli occhi e pensate di essere nella capitale dell’Iran, probabilmente si crea l’immagine mentale di una città condizionata da un’opprimente religione che influenza la vita della popolazione. Niente di più ingannevole! Questa megalopoli da 13 milioni di abitanti è apparsa ai nostri occhi di turisti occidentali intensamente pervasa di musica, colori e antiche tradizioni persiane: ci siamo ritrovati a vivere una città che non ti aspetti. La sensazione è stata quella di persone che vogliano esprimere il loro individualismo rispetto a una società che tende a soffocarli in nome di una morale imposta a cui tutti dovrebbero adeguarsi.
Sono soprattutto le donne e le ragazze a farci percepire la forte differenza rispetto al nostro immaginario. Donne velate con chador neri si mischiano a ragazze con piccoli foulard colorati poggiati su chignon, truccate, molto eleganti e con tutti i capelli al vento; la nostra guida ci ha spiegato che “le donne iraniane hanno cassetti pieni di questi foulard e li abbinano al resto dell’abbigliamento come le nostre signore abbinano scarpe e borse. Sono donne colte _continua la guida_ che vogliono mantenere il ricordo dell'antica cultura persiana”.
Il tutto si palesa in un’intensa espressione di femminilità, con un singolare segreto di giovinezza: donne di ogni età consumano abbondanti quantità di spremuta di carota, comprate nei bar o lungo la strada, poiché fortemente convinte che abbiano grandi benefici sulla pelle.
Nel nostro girovagare notiamo che non sono presenti insegne di grandi catene internazionali: siamo ormai abituati ed essere ossessivamente circondati da pubblicità di svariato genere. Qui invece la vita commerciale è priva di grande marche: è del singolo. Così, in una piazza, ci imbattiamo nella “borsa dell’oro”: grammi d’oro vengono battuti all’asta da un ignoto venditore in un turbinio di contro-offerte dei presenti, tutto in tempo reale. Come se questo non bastasse, davanti al “mercato nero del cambio valuta” siamo rimasti senza parole! Mazzette gigantesche di valuta di ogni nazionalità vengono cambiate a ritmi incessanti nel mezzo di una folla di un migliaio di persone. Una scena davvero surreale per noi occidentali. Al Bazar di Teheran, altra meta obbligatoria, osserviamo la frenetica attività del più grande mercato del paese: colori, profumi e curiosità; i melograni giganti, i limoni dolci, i pistacchi che sono uno dei principali prodotti nazionali. Camioncini e motorette trasportano le merci al mercato... e fin qui... ma sono così stracarichi di pacchi che sembrano sfidare la forza di gravità!
Intanto si è fatta ora di pranzo; dopo una settimana di acciughe fritte mangiate con le mani e di pasti “on the road” in punti ristoro piuttosto di fortuna, decidiamo per un ristorante: scegliamo un localino minuscolo e senza fronzoli frequentato dalla popolazione locale, nella speranza di mangiare qualche specialità. Non rimaniamo delusi: ci servono uno squisito piatto di mirza gashemi (passato di melanzane, zucca, aglio, pomodoro e uovo servito con pane e riso), il kuli (caviale di carpa), lo zeytoun parvardeh (olive verdi marinate in succo di melograno, noci ed erbe aromatiche). Soddisfatti e rifocillati paghiamo il conto, rigorosamente in contanti perché qui le carte di credito non funzionano, e ci dirigiamo verso il Palazzo Reale di Golestan che risale alla seconda metà del 1500 ed è il più antico dei monumenti di Teheran. Tra le cerimonie più importanti, a cui Palazzo Golestan ha fatto da cornice, l’incoronazione di Reza Khan e quella di Mohammad Reza Pahlavi. Tante sarebbero le cose da descrivere di questo splendido complesso, ma una in particolare ci ha fatto vivere sensazioni da mille e una notte: la spettacolare "Sala degli Specchi", dove le pareti sono completamente ricoperte da cristalli provenienti dall’italica Murano. In questa sala venivano incoronati i re e la copertura di cristalli consentiva di diffondere in ogni dove lo splendore, la luce e la magnificenza reale.
Verso sera torniamo in albergo arricchiti dagli stimoli di questa cultura che ci apprestiamo a lasciare; domani voleremo verso l’India per la seconda parte del nostro viaggio.
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La giornata inizia con un traffico intenso per raggiungere l’aeroporto di Teheran. Due ore di trasferimento dall’albergo all’aeroporto che inaspettatamente si fanno sentire più dei 300 km sulle nostre Royal Enfield... Così durante il volo ci concediamo lo sfizio di una birra fresca, vero piacere nel caldo asfissiante del medio-oriente.
Per arrivare a Delhi prendiamo un volo operato da Emirates via Dubai: un aeroporto incredibile, un complesso immenso posato tra il deserto e i grattacieli. Pensate che per muoversi da un terminal all’altro sono addirittura necessari dei treni, oppure 45 minuti di camminata per i più audaci. Per ingannare il tempo di attesa hanno organizzato continue lotterie con in palio macchine da sogno: se sei abbastanza fortunato (non è il caso nostro) puoi comprare un biglietto, vincere una macchina e andartene dall’aeroporto su una Ferrari o una Maserati. Per quanto tutto questo sia sbalorditivo ai nostri occhi, abbiamo presto realizzato che è tutto molto coerente con l’esuberante ricchezza di Dubai.
Ci lasciamo velocemente alle spalle la città petrolifera, saliamo sul volo per Nuova Delhi, atterriamo, ci sottoponiamo ai lunghi controlli all’immigrazione e finalmente arriviamo in città... anzi una gigantesca megalopoli di 22 milioni di abitanti che cresce con il ritmo impressionante di 2 milioni di abitanti all’anno, praticamente una città nella città!
Tutto ciò si mostra ai nostri occhi percorrendo le strade, che ci conducono verso il nostro albergo, è un “caos primordiale” che le governa: ci troviamo perennemente imbottigliati nel traffico, tra motorini, risciò e polvere asfissiante. Tuttavia, improvvisamente e incomprensibilmente, questo caos si risolve e questa informe massa di traffico, di cui anche noi siamo parte integrante, si sposta all’interno delle strade e dei vicoli. In un Caos che diventa improvvisamente ordinato, si materializza il nostro albergo con il suo numero imprecisato di piani e di stanze. Qui ci raggiungerà in tarda serata il restante gruppo di manager che è partito questa mattina dell’Italia e con il quale domani visiteremo la città, ma soprattutto incontreremo l’ambasciatore per raccontare il nostro importante progetto di solidarietà nato da questo viaggio partecipato.
A domani, allora...!
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Buongiorno Delhi! Oggi ci addentriamo nei tuoi dedali di viuzze e nel tuo caos primordiale per assimilare quanto più possibile della tua cultura millenaria, così diversa dalla nostra visione occidentale del vivere quotidiano.
In ogni dove si percepisce chiaramente la centralità della religione che permea e condiziona ogni aspetto della vita; d’altro canto la popolazione, molto tollerante, esprime grande rispetto per le persone di qualunque religione ed etnia. Aiutare il prossimo senza che questo però se ne approfitti è uno dei cardini della religione indiana e nell’immenso tempio Sikh ne ritroviamo piena testimonianza: qui la comunità, oltre alla pratica religiosa, è impegnata nell’aiutare chiunque sia in difficoltà offrendo alloggi di fortuna e una mensa gratuita aperta dalle 12 alle 24. Le cucine sono immense cucine e ci lasciano sbigottiti… come del resto l’altissimo numero di volontari che, inaspettatamente, appartengono alle caste più alte della società indiana. Si tratta soprattutto di donne.
Una curiosità: prima di entrare nel tempio, i sikh si lavano in una piscina sacra, conosciuta come sarovar. Per noi turisti invece è necessario coprirsi il capo e camminare scalzi.
Con il nostro pullman torniamo ad affrontare l’agguerrito traffico cittadino per spostarci verso il Qutb Minar, il più alto minareto in mattoni del mondo; la sua torre in pietra raggiunge i 75 mt di altezza! É il più famoso dei monumenti che compongono il Complesso di Qutb, che nel 1993 è stato inserito nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. É la volta poi del Raj Ghat, luogo della cremazione di Gandhi e della sua tomba commemorativa che si trova in un parco fiorito. Un luogo in cui svanisce il forte chiasso della città a favore di un silenzio surreale… sentiamo forte il senso di grandezza e di pace.
L’india è la terra dei contrasti, il tempio di Bahai ce lo ricorda: in assoluta antitesi architettonica rispetto a quanto abbiamo visitato fino ad ora. Completato nel 1986, ha l'aspetto del bocciolo di un fiore di loto formato da 27 petali marmorei che si schiudono, poggianti su nove aperture e può ospitare oltre 2.500 persone. Alto oltre 40 metri brilla per il marmo bianco di cui è ricoperto e sembra galleggiare sui nove laghetti che lo circondano - un effetto scenografico di grande suggestione! La nostra guida ci ha spiegato che i templi bahai non sono destinati all'uso esclusivo dei bahai (rieccoci con la tolleranza...) ma sono aperti a tutti, indipendentemente dal credo professato, senza distinzione di sesso, etnia o nazionalità. Sono riservati alla preghiera, alla meditazione e alla lettura di testi sacri di ogni fede, ma sono vietati sermoni o prediche di qualsiasi natura o credo.
Nel nostro girovagare per Delhi entriamo in contatto con la gente del luogo; tutti ci salutano con cordialità, incuriositi dal nostro chiassoso gruppo di turisti occidentali. Sulla via del ritorno un’inaspettata sorpresa, incappiamo nello store Royal Enfield: fermi tutti, una foto davanti all’insegna delle nostre mitiche moto è d’obbligo!
In serata presso l’ambasciata italiana in India, ospiti dell’ambasciatore Angeloni, abbiamo incontrato le principali realtà risiere locali, le autorità, i media e gli operatori del settore per presentare il nostro progetto on the road: unire due eccellenze che hanno fatto la storia a favore di un progetto di solidarietà per bambini del Ladahk. Il grande apprezzamento che tutti i presenti hanno espresso per questa nostra iniziativa, ci ha confermato che l’impegno partecipato della nostra azienda a favore di uno sviluppo sostenibile è la strada che occorre cavalcare.
Noi siamo pronti, accendiamo i motori delle nostre Royal Enfield!
Si parte per la seconda fase del tour! Stay Tuned!
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Nessuno di noi avrebbe immaginato che questa tappa di spostamento da Delhi, verso Chandigarh, per raggiungere Manali, sarebbe stato un “viaggio della speranza”... di arrivare!
In sintesi: 4 ore di treno fino a Chardigarh, e più di 9 ore di pulmino fino a Manali. Siamo partiti da Delhi alle 8 del mattino e siamo arrivati a Manali alla mezzanotte. Oggi parlano per noi le immagini: dei mezzi di trasporto, dei luoghi, dei paesaggi e delle persone.
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Raccontarvi di questa giornata è stato complicato per la totale assenza di segnale; abbiamo dovuto recarci al vicino posto di polizia e approfittare dell’hotspot del colonello dell’arma per collegarci!
Il lunghissimo trasferimento da Delhi a Manali ci aveva già suggerito una dimensione fuori dal tempo. Ma qui a Manali ci siamo resi conto di essere davvero alle porte di qualcosa di eterno, immobile, affascinante al punto da essere ipnotico. Manali è la porta dell’Himalaya: qui si parte da dove normalmente si arriva, nel senso che siamo abituati a salire da altitudini di 1500 metri fino a 3000, 3500… Qui la salita parte da 3000 metri!
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Anche oggi grandissime difficoltà di trasmissione, purtroppo siamo riusciti a inviare poche immagini; qui non esiste rete telefonica, ma il wifi si, e riusciamo ad approfittarne solo per poco...
Mattino, risveglio, si guarda il cielo, la potenza della natura, senza alcun filtro. Siamo immersi in quella che forse è la dimensione più vera dell’uomo.
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La notte nel campo tendato di Sarchu è stata davvero molto fredda, la temperatura è scesa a -2°; considerando che le tende non sono riscaldate, la notte non ci ha regalato sufficiente riposo per affrontare le tappe successive. Dopo una giornata con un tragitto molto fatico lasciamo a voi immaginare le condizioni in cui ci troviamo. Il gruppo, sebbene provato, rimane molto compatto… avanti tutta!
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Ci attendono 186 km per raggiungere la Valle di Nubra: anche oggi rivivremo le emozioni delle carovane di un tempo che dalla Cina, attraverso il Karakoram Pass, entravano in territorio tibetano per poi proseguire verso l’India. Qua e là incontriamo gruppi numerosi di cammelli battriani che si muovono in cerca di cibo e che, quasi a testimoniare la storia, evocano alla nostra mente quelle antiche immagini di spostamenti senza fine.
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La giornata di oggi resterà impressa dentro di noi per sempre.
É stata un susseguirsi e un crescendo di intense suggestioni: quelle adrenaliniche di un percorso decisamente estremo, quelle emotive dettate dal cuore insieme ai bambini della scuola di Choglamsar.
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Ieri sera abbiamo assaporato i sapori veri della regione, cenando in un ristorante domestico: una famiglia che apre la sua casa, per condividere i tanti prodotti tipici del posto. Abbiamo assaggiato una buonissima zuppa di piselli neri, accompagnandola con una birra artigianale di grano ed erbe, che dopo dieci giorni di sola acqua ci è parsa un autentico miraggio! É stata la degna conclusione di una giornata perfetta.
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Cari amici, che ci avete seguiti in questo nostro lungo ed emozionante viaggio con tanta passione, oggi possiamo finalmente dire CE L’ABBIAMO FATTA!
In tanti momenti abbiamo stretto i denti, superato le difficoltà di spostamento in un territorio sconosciuto, lungo percorsi che sapevamo impegnativi ma che non immaginavamo essere così ardui in molti tratti, affrontato i piccoli e grandi intoppi del vivere quotidiano in questi luoghi. Non è stato facile; ma aver affrontato tutto questo con un gruppo compatto, forte e determinato, ha reso tutto possibile e ha trasformato questo viaggio in un’esperienza che nessuno di noi dimenticherà mai.
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